Forum per scrittori: La vetrina dello scrittore esordiente

Le mal de vivre

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view post Posted on 13/4/2024, 17:45     +1   +1   -1
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Il Cavaliere Nero
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Questo brano, che risale al dicembre 2022, ha ricevuto una menzione speciale nell'edizione n. 71 del concorso NeroPremio.



Le mal de vivre

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Posai le scarpe Gucci sulla testa dell'aquila e mi godetti la vista della Grande Mela dal Chrysler Building. Molto più in basso c'era un viavai di taxi e di gente che entrava e usciva dal Westin NY Grand Central, dove alloggiavo anch'io; da quell'altezza la città appariva in tutto il suo splendore e la sua acidula decadenza. Il nitore pacchiano e fuori luogo delle sue mille luci non mancava mai di stregarmi e demoralizzarmi al contempo, mentre in lontananza l'East River scorreva pigro e il cielo si estendeva come il manto della dea notte. Una padrona seducente, esigente e intransigente che non avevo mai mancato di ossequiare.
Al rumore del balordo traffico notturno si accompagnava il frastuono dei miei pensieri, che s'infrangevano nella placida immensità della psiche come onde che si abbattono implacabili su una scogliera. Più sotto ancora, come il frullar d'ali d'una libellula, echeggiavano i pensieri altrui.
Cazzo, devo comprare il regalo per l'anniversario…

Guarda se questo stronzo si muove, è verde!


Speriamo che alla festa non ci sia Travis…

Stasera mi aspetta una mega scopata!


Mi lasciai sfuggire una smorfia e un sospiro e mi concentrai sull'olfatto, ma anche quello mi tradì, portandomi alle nari un profumo di colonia scadente, il gas dei tubi di scappamento e il lezzo della perdizione che si respirava a pieni polmoni in ogni grande metropoli. In passato l'umanità mi aveva fatto dono di vette insuperabili di grandezza, pensieri sublimi in cortili e peristili di massimi sistemi; grandi filosofi, artisti visionari, statisti di spessore… ai miei occhi, tutto ciò che ne restava oggi non era altro che un'orgiastica decadenza senza fine, un empio edonismo che rappresentava solo la macchia sbiadita e l'aspirazione tradita degli uomini. Com'erano potuti cadere così in basso? Cos'era andato storto? Mi interrogavo su questa e su altre annose questioni, quando percepii una presenza alle mie spalle.
«Ho saputo che eri in città, ero certo di trovarti qui. Che mi racconti, paparino?»
Chiusi gli occhi e sorrisi.
«Buonasera, Max. Canti ancora in quel complesso da quattro soldi?»
«Oggigiorno si dice band. Dovresti aggiornarti, parli come un matusa.»
Rise.
«Comunque sì, è un ottimo svago e fornisce prede facili. Vai a caccia, stanotte?»
«Più tardi, forse.»
«Pensavi ancora al passato?»
Allargai le braccia come per abbracciare la città.
«I passatempi racchiusi in questa cacofonica babele di peccato, piacere e depravazione mi sono venuti a noia molto tempo fa. Tempus fugit, dicono i mortali… ma ahimè, non vale per noi. Ti invidio, sai? Hai la voglia di vivere tipica dei giovani.»
«Mi ero quasi scordato il tuo modo eccentrico di parlare. Comunque quel che è stato è stato, molto meglio vivere per il momento.»
Scossi appena la testa e mi ravviai i capelli corvini mossi dal vento.
«Forbito, Max, non eccentrico. A ogni modo… una volta qualcuno disse che la chiave per comprendere il futuro è sepolta nel passato.»
«Bah.»
Non mi aspettavo che qualcuno così giovane capisse concetti tanto elaborati, frutto del susseguirsi dei secoli e di riflessioni lunghe intere civiltà, né che comprendesse come la prospettiva del singolo fosse cangiante e alienante, come ti rendesse più lungimirante e nel corso del tempo divenisse persino angosciante. Come pelle che si incartapecoriva, l'anima – o ciò che ne restava – non poteva che inaridirsi… alla costante ricerca di baluginanti glorie passate e tempi andati; un mal de vivre che così bene aveva compendiato Charles Baudelaire. Ma esistevano ancora anime così potenti e tormentate da carpire l'essenza di tale segreto persino nell'estrema caducità dell'esperienza umana?
«Allora ti lascio al tuo filosofeggiare, mi aspettano. Ah, meno male che me lo sono ricordato, altrimenti chi la sente quella. La tua prediletta ha chiesto di te, dice che la trascuri.»
Aprii gli occhi e un sorriso più genuino mi incorniciò il viso.
«Ha detto così?»
Max si era già dileguato.



***




Provavo sempre una strana sensazione alla vista dell'insegna al neon del Christie's Bar, con la donna con l'ombrello che si apriva accanto a un'auto da corsa. Era un complesso misto di nostalgia, affetto, malinconia e qualcosa che non ero in grado di definire.
“La mia prediletta.”
Sbuffai a metà tra il divertito e l'infastidito, ma non potevo negare l'evidenza: persino un giovane dandy da strapazzo come il mio ultimo “figlio” se n'era accorto. Al mio ingresso parecchie teste si voltarono e mi osservarono con una certa curiosità; non potevo biasimarli, anch'io mi sarei chiesto cosa ci facesse un uomo in completo elegante in un posto come quello.
Che gran pezzo di fico, me lo farei nel cesso.

Il tipo ha classe, ma scommetto che ce l'ha piccolo.


Ma tu guarda, è arrivato Rockefeller.

Il locale era pieno di fumo, diversi brutti ceffi giocavano a biliardo in fondo e mi lanciavano occhiate; ai tavoli sedevano avventori di tutte le età. C'erano giovani con pettinature trasgressive, un paio di manovali in jeans che non erano passati da casa, donne in cerca di compagnia e qualche disperato che annegava i propri dispiaceri nell'alcool. Tutto come lo ricordavo.
Il bancone di legno sulla destra, di un caldo marrone, correva lungo tutta la parete. Dietro, birre alla spina e bottiglie per qualunque esigenza: whisky invecchiato, bourbon, cognac e tutto il necessario per preparare ogni genere di cocktail. Vicino alla cassa c'era una serie di adesivi che recitavano battute più o meno divertenti; il mio preferito dichiarava che “Gesù era un hippie ante litteram”. Ce n'era uno nuovo, forse aggiunto a causa di qualche lite recente: “Rompi le palle alla barista e lei romperà il culo a te”.
Posai lo sguardo sulla donna in questione. Portava i capelli biondi legati in una coda e indossava abiti casual sotto al grembiule da lavoro; il trucco ne accentuava i bei lineamenti e allo stesso tempo nascondeva il suo pallore, gli occhi azzurri scintillavano vispi alla luce artificiale del bar. Finì di versare da bere a un lupo solitario in fondo al bancone e alzò lo sguardo su di me; s'illuminò come una figlia che vede il padre rincasare tardi dopo averlo atteso a lungo. D'altronde erano passati sette anni… eppure erano poca cosa per quelli come noi, e ancor meno per me. Un battito di ciglia nell'eternità del cosmo.
Sfoderai il mio migliore sorriso e andai a sedermi. Mi fece l'occhiolino.
«Il solito?»
«Certo. Le cose sembrano andarti bene.»
Lei si girò e prese il necessario per un Martini doppio.
«Non posso lamentarmi. Tu piuttosto, non riesci proprio a stare fermo in un posto?»
«Mi conosci. Wanderlust e tutto il resto.»
Mi lanciò un'occhiata provocatoria mentre versava.
«Non è che scappi da chi so io?»
Risi.
«No, il gioco del gatto col topo è finito da un pezzo. Ora ce ne stiamo ciascuno per conto proprio.»
Christie mi posò davanti il bicchiere e ci infilò dentro l'oliva con un ombrellino.
«Nessuno dei due mi ha mai voluto dire perché tra voi è finita.»
Sogghignai.
«Cose da grandi, bambina mia.»
Mi rivolse il medio, ma sorrideva.
«Non sono io a essere giovane, sei tu che sei decrepito.»
Osservai il liquido nel bicchiere e mi tuffai di nuovo nel passato, al tempo in cui avevo incontrato Christie… quando ancora si chiamava Mary Anne. Aveva sempre odiato quel nome.
«Dove sei stato in questi anni? Su, racconta.»
Le parlai a lungo delle mie peregrinazioni e delle mie afflizioni, senza bugie o allusioni; la ricerca di un Santo Graal che sapevo essere introvabile, inafferrabile, che ogni anno che passava mi rendeva forse meno amabile. Un problema privo di soluzione, che portava solo alla dannazione e, in ultima analisi, alla frantumazione dell'Io. Solo il tristo mietitore poteva forse affrancarmi da quell'agonia, dall'eterno tendere verso ciò che non potevo raggiungere?
Avevo osservato gli splendenti grattacieli di Dubai che si ergevano nella calura delle sabbie, visitato le città esotiche dell'Asia e perfino gli sperduti villaggi dell'America latina e le comunità di Inuit. Mi ero soffermato presso oscuri siti archeologici ancora più antichi di me, come Göbekli Tepe in Turchia; avevo vagato sotto i cieli stellati del deserto sahariano a me familiare e – per quanto facesse male vederla così mutata – mi ero recato persino nella città che oggi era nota come Istanbul.
Ero stato testimone della sua età dell'oro, quando rispondeva al nome di Bisanzio, e avevo attraversato i millenni. Eppure eccomi lì, seduto in un bar da quattro soldi, a confessare il male che mi corrodeva a una ragazzina che aveva vissuto solo dalla prima proiezione dei fratelli Lumière. Forse era vero che ero caduto in basso, forse era vero che ero patetico, ma non lo era forse anche il mio costante viaggiare senza riuscire a trovare un posto che mi appartenesse? Sarei stato condannato in eterno a vagare, accecato dallo splendore di un passato che non sarebbe mai più tornato, nemico di me stesso? Affannato e assetato, dannato perché incapace di vivere come un animale ammaestrato? D'altronde lo suggerì anche Fitzgerald ne Il Grande Gatsby: il passato non si può rivivere o riportare in vita, è un'illusione pericolosa.
Christie era andata a servire a un tavolo e al suo ritorno mi rivolse uno sguardo di rimprovero.
«Piantala di commiserarti, non è da te. Forse hai solo bisogno di uno scopo.»
Buttai giù il secondo Martini.
«Facile a dirsi. E tu ce l'hai?»
Si strinse nelle spalle e sorrise.
«Mi accontento di poco, ma forse a te serve qualcosa di più. Di significativo. Non ti ci vedo a vendere auto usate o cose del genere.»
Ridacchiai.
«Per come sono fatto, alla lunga mi starebbe stretto perfino il ruolo di re del mondo.»
Salutai la mia prediletta e tornai a immergermi nella notte fin troppo luminosa della città. New York, New York, cantava Sinatra più di quarant'anni prima… anche se a me sembrava solo l'altro ieri.


***




Mi avvicinai alla figura che sostava di spalle sul molo, poco discosta dalla luce di un lampione; l'Hudson mormorava con un tono sognante che i comuni mortali si sarebbero sognati di riuscire a percepire.
Te la sei presa comoda.
Mi fermai accanto a lei e ne studiai il profilo familiare: la sua algida bellezza non era cambiata. Mentre lo scorrere del tempo e lo sfacelo modellavano persino le montagne, il suo fascino sarebbe rimasto per sempre immutato, mai adulterato. Un viso che avevo sempre adorato pur nella sua eterna immobilità. Il mio unico amore immortale… mentre di quelli umani ormai non serbavo che un vago, scolorito ricordo.
«Vai forse di fretta?»
«Sai che odio aspettare. E poi, perché non puoi usare la telepatia come tutti gli Antichi?»
Sorrisi percorrendo con lo sguardo le sue labbra piene, adornate di un rossetto rosso vivo; l'abito nero in cui era fasciata restituiva una silhouette perfetta.
«Forse voglio sentirmi giovane, oppure trovo che ci sia un'intrinseca magia nelle onde sonore e nella musicalità della parola. Forse mi piace il suono della mia voce o voglio soltanto irritarti… o magari sono solo afflitto dall'estremo tedio di quest'insulsa epoca. Un tempo in cui il positivismo si è infine fatto religione.»
Accennò a un sorriso e mi sfiorò la guancia con le unghie.
«Il mio filosofo.»
«Come mai mi hai chiamato?»
«Nostalgia, avevo voglia di vederti.»
«Solo una passeggiata lungo il viale dei ricordi? Da quand'è che sei diventata così prevedibile, banale e sentimentale, ma cherie
Esibì i canini e soffiò come un gatto randagio.
«Sei il solito stronzo.»
«Così pare.»
Appoggiò la testa contro la mia spalla, lo sguardo fisso sulle acque scure, alla ricerca di chissà quale ricordo.
«Se potessi tornare indietro, compieresti le stesse scelte?»
«Lo stai chiedendo a me, o vuoi saperlo perché poni la medesima domanda a te stessa?»
«Sei sempre stato troppo bravo a leggermi… forse è per quello che alla lunga tra noi non ha funzionato.»
Sospirai.
«Se me lo avessi domandato anche solo qualche decennio fa, forse avrei risposto di sì, ora non lo so. Quel che so è che i rimpianti sono inutili, forse persino pericolosi. Eppure, di recente mi trovo sempre più spesso a ripensare al passato… a ciò che avrei potuto pensare, dire o fare e non ho pensato, detto o fatto. Agli eventi che sarebbero potuti andare in altro modo e agli errori che si sarebbero potuti evitare. Forse questa parte di noi rappresenta le ultime vestigia della nostra umanità.»
Carmen, come si faceva chiamare ora, rise.
«O forse stai vaneggiando.»
Fece una pausa e si strinse a me.
«Ti sei mai chiesto com'è la morte, che cosa si prova? Hai mai avuto la tentazione di restartene su un tetto e sfidare l'alba?»
Le lanciai un'occhiata allarmata.
«Ammetto che talvolta l'idea mi ha sfiorato, ma in fondo si tratta solo di fumose lusinghe generate dal male di vivere, e come tali vanno trattate. Quanto alla morte, chi più di noi vi è vicino? No… noi siamo la morte. Ciò a cui ti riferisci è la dissoluzione finale, un'abdicazione della propria volontà. Non v'è nulla di nobile nella rinuncia se non nelle sciocche credenze di alcuni mortali, che glorificano il martirio e demonizzano l'ego. Ma cos'è in fondo un uomo che svilisce il proprio Io, se non una mera marionetta biologica? Un ricettacolo vuoto e futile… nient'altro che un miserabile, minuscolo cumulo di menzogne e segreti.»
«Mi sei mancato, anche se mi secca ammetterlo.»
«Lo so… anche tu. Vogliamo cacciare, in onore dei vecchi tempi?»
Carmen annuì e ci avviammo per il marciapiede sul lungofiume. La notte era ancora giovane e la città attendeva soltanto noi, ignara dei predatori invisibili che la popolavano: eravamo così in alto nella catena alimentare da risultare ignoti a tutti coloro che si trovavano al di sotto, com'era giusto che fosse.
Mentre camminavamo, un campanile che si stagliava contro il cielo mi rapì per lunghi istanti. Mi riportò indietro di secoli ai magnifici bazar d'oriente e a quel sole ardente; alle città maestose con i loro alti e gagliardi minareti e gli antichi amuleti. Un tempo in cui non eravamo ancora esteti e forse neppure inquieti. Non si poteva dire che il pianeta allora fosse giovane, perché già assai decrepito, ma ci sentivamo come se lo fosse perché noi lo eravamo.
Così continuai a vagare nelle memorie e a scambiare pensieri con la mia compagna di ventura, entrambi naufraghi del grande fiume del tempo, arenati su un tronco in balia di correnti dementi. Non ci restava che continuare a osservare il palcoscenico del mondo mutare, e con esso ogni altra cosa all'infuori di noi.
Il sangue pulsante prese a chiamarci e dopo… dopo ci fu soltanto la sete.
 
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