Forum per scrittori: La vetrina dello scrittore esordiente

"Sull'arte del poetare" - dedicato a Terry.

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*SHORY*
view post Posted on 8/7/2017, 16:44     +1   -1





“Sull’arte del poetare.”

Poiché non mi sembra corretto invadere lo spazio di Fenix, rispondo qui alle tante considerazioni che hai fatto riguardo alla poesia.
Cito la tua risposta perché mi serve da traccia.

CITAZIONE
E' allucinante (e, per me, sconfortante) vedere quanto diamine sia complicato quello che si nasconde dietro "qualche rima"!
Non me ne vogliate per la brutale riduzione all'osso della mia definizione: vi assicuro che agli occhi di una profana che non ama particolarmente il genere poetico - perché è qualcosa di troppo più grande della sua piccola mente - è proprio così che appare!
Tuttavia, grazie a queste vostre spiegazioni, credo di avere inquadrato qual è il mio vero problema con la poesia!
La poesia, come del resto anche la musica, è una forma di matematica, e io con la matematica non ho mai avuto buoni rapporti fin da quando ho imparato a contarmi le dita. A scuola giustificavano le mie imbarazzanti lacune con la "mente artistica", ma io credo che siano gigantesche balle, considerato anche che ho sempre avuto una passione viscerale per le scienze e, al contrario della matematica, le ho sempre capite bene. La matematica mi annoiava tremendamente con quelle sue regole troppo rigide, con quei suoi paletti e dettami e "assunti" odiosi (perché 2+2 dovrebbe dare 4? Quale strano fenomeno - comprovabile in natura - lo dimostrerebbe?). Nelle altre scienze tutto è dimostrabile, lo stesso metodo nel procedere richiede che una teoria venga poi anche dimostrata, invece la matematica parte dall'assunto "è così e basta", che il mio cervello proprio non tollera! La matematica è niente più che una unità di misura troppo presuntuosa, e per giunta inventata, al contrario delle altre scienze, che sono state scoperte.
La poesia, sto scoprendo ora, ha parecchi punti in comune con la musica ma, al contrario della musica, mi annoia come la matematica. Non che io conosca di spartiti e crome e semicrome, intendiamoci, non più di quanto ci insegnavano alle elementari e medie. Però la musica ha parole (non sempre) e strumenti, ha suoni diversi e variegati, ha melodie che sorreggono le parole o possono anche farne a meno perché, da sole, dicono tutto quel che c'è da dire! La musica è completa, abbraccia ogni arte dalla matematica alla poesia, dalla fisica della propagazione del suono al miracolo di produrre emozioni.
E' innegabile che la poesia abbia una sua musicalità e che abbracci anch'essa svariate discipline artistiche e scientifiche, eppure non mi prende, non mi conquista, la vedo più "matematica" che "scienza". Certo, non immaginavo che dietro un componimento poetico ci fossero questi mostri di regole, e da quel che mi dite è soltanto la punta dell'iceberg! Tanto di cappello a chi della poesia ne fa una passione, a chi riesce a non far sentire gli sforzi e le macchinazioni che si celano dietro le rime, ai poeti antichi che usavano questa forma di scrittura per raccontare d'imprese epiche! Ma, proprio come la matematica, temo che la poesia non faccia per me ci vorrebbe un'intelligenza molto più sviluppata della mia per riconoscere (ma soprattutto apprezzare) gli sforzi e i miracoli della poetica... ma io ho soltanto questa intelligenza, assai limitata per giunta, e mi tocca adeguarmi.

Il tuo dire è la dimostrazione pratica di quanto, a meno di essere animati da profonda passione e di disporre di una bella quantità di tempo, risulti complesso introdurre qualcuno alla studio della poesia “classica”.
Perché ho utilizzato questo termine?
Perché non bisogna dimenticare (ed è un concetto base) che non esiste solo la poesia in metrica (quella complessa) ma anche quella in versi liberi.
Attenzione, non sto dicendo che tutta la poesia in versi liberi è buona poesia (come del resto, non lo è quella in metrica) ma è sicuramente più facile da praticare perché non ha regole di sorta, si limita ai contenuti e a volte nemmeno a quelli (pensiamo all’ermetismo: senza la parafrasi, possibilmente fatta dall’autore medesimo, spesso non si capisce il significato dei singoli versi, figurarsi della composizione per intero).

Fatta questa puntualizzazione, torniamo all’arte del “bel poetare classico”, quello che va condotto secondo canoni stabiliti.
Cara Terry, qui la rima è l’ultimo (o quasi) aspetto di cui è necessario occuparsi.

Il primo e più importante è, a mio avviso, qualcosa che coinvolge anche il prosatore, ovvero la sillabazione, laddove per sillabazione intendo quella grammaticale.
La sillabazione metrica la ricalca quasi in tutto, quindi conoscere la prima (magari rispolverando i ricordi di quando andavamo a scuola) è fondamentale.
Fatto questo, volendo, si passa alla metrica, ovvero a quell’insieme di regole che consentono di comporre in tale modalità.
Si tratta del verso, di come è costituito, di accenti e, nuovamente, di conta delle sillabe secondo una metodologia diversa.
Occorre imparare l'esistenza e l'importanza delle diverse figure: sinalefe, dialefe, episinalefe, anasinalefe, dieresi, sineresi.

Solo a quel punto è possibile parlare di rima e fare i debiti distinguo.
Assimilati i concetti relativi alla rima, si passa al vari tipi di composizione, dal più semplice al più complesso (sonetto, ballata, ecc...)

In ultimo (per farla semplice, di argomenti da affrontare ce ne sarebbero ancora un’infinità) si arriva nuovamente a qualcosa che risulta utile anche in Prosa e finanche nel parlato quando si vuol fare un figurone: le figure retoriche.
Ne esistono un paio di centinaia ma qualsiasi insegnante sarebbe folle ad andare oltre la dozzina e credo che un poeta di grande abilità non arrivi alla cinquantina.
Questo è un argomento estremamente interessante: se mai dovesse venirmi la voglia di fare un tutorial, sarebbe senza dubbio sulle figure retoriche.

E’ sottinteso il fatto che, esattamente come nella prosa, occorre leggere tanto e tanto e tanto, soffermandosi sulla costruzione dei versi, contando, verificando gli accenti, ecc... Poesie classiche, ovviamente.

E veniamo alle tue considerazioni: la poesia è anche matematica come lo è la musica.
Considerato che ami la matematica quanto me (anch’io mi sono sempre chiesta sulla base di quale prova empirica 1+1 = 2; è solo un enunciato, non mi significa niente), non starò ad annoiarti col concetto di sezione aurea che è strettamente collegata al bello delle proporzioni e non solo.
In musica, ad esempio, un violino la cui cassa armonica sia costruita secondo determinate modalità geometriche produce un suono migliore di un altro che tali modalità non presenta.
Potrei andare ancora oltre e parlare dell’applicazione della serie di Fibronacci (trattasi di matematica) alle meraviglie dell’armonia musicale, ma risulterebbe lungo e tedioso.
Resta il fatto che hai pienamente ragione quando colleghi la matematica alla musica e parimenti quando colleghi entrambe alla poesia.
La poesia classica, grazie al sapiente utilizzo dei vari elementi, è come un cocktail ben riuscito: scorre via con piacevolezza accarezzando orecchio e mente senza stonature. Se il dosaggio è sbagliato, l’armonia si rompe e tanti saluti: l’effetto può essere devastante.
Ad esempio, anche un sonetto quasi perfetto (che deve essere tutto in endecasillabi, versi di undici sillabe), per la sola presenza di un verso ipometro (sotto l’endecasillabo) o ipermetro (sopra l’endecasillabo) va a carte quarantotto e non solo perché non può più essere qualificato come “sonetto” (questo è il male minore) ma perché quel verso stonerà ad un orecchio allenato o anche ad un orecchio che non sia allenato ma dotato.

Chi è dotato di un buon orecchio musicale è anche facilitato nella composizione poetica classica (così come nell’imparare la musica); una persona che abbia poca voce ma sia intonata, può cantare comunque e noterà miglioramenti perché anche le corde vocali si rinforzano allenandole; chi è completamente stonato... beh, ci sono altri modi per passare il tempo. :lol:



Edited by *SHORY* - 8/7/2017, 23:56
 
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view post Posted on 8/7/2017, 17:54     +1   -1
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Guarda, concordo più o meno su tutto quello che hai scritto... tranne sul prendere in considerazione la poesia "libera". Se non amo particolarmente la poesia Classica, ebbene allora non considero proprio la poesia "libera" così come non considererei la prosa di qualcuno che venisse da me chiedendomi un parere funzionale sul proprio scritto, e dopo averglielo fornito e motivato mi rispondesse che "io scrivo senza i freni delle regole e della tecnica". Capiscimi bene: niente da eccepire se qualcuno vuole sbizzarrire il proprio estro creativo liberandolo e mandandolo a pascolare libero e brado s'un bel prato di campagna. Ma se poi si spezza una gamba perché la ficca in una buca correndo alla cieca, la colpa non è della tecnica ma della mancanza di tecnica. Magari le cose fatte senza cognizione della tecnica riescono anche bene, ma son certa che riuscirebbero assai meglio se vi fosse, alla base, una conoscenza - e una coscienza - della tecnica.
Quindi, se magari la prosa a-tecnica l'accetto pur sentendone il "peso" delle lacune, la poesia a-tecnica mi sembra una brutta scorciatoia, piena di tutte le lacune che si porta dietro qualcosa che non ha tecnica (e ok, potrebbe esserci il talento a compensare, ma è un'eventualità rarissima!), con l'aggiunta del fatto che già la poetica non è la mia arte preferita.

Ho sempre avuto un ottimo orecchio in tutto (o così mi han sempre detto): da piccina suonavo totalmente a orecchio e, allo stesso modo, "componevo rime" azzeccando, di solito soltanto per la musicalità che mi "suonava" nell'orecchio, il numero giusto di sillabe (finiva sempre in endecasillabo, avevo molto da dire :P), mi divertivo a riscrivere delle canzoni cambiando le parole e così via dicendo, tutto rigorosamente a orecchio. A orecchio andavo pure con la prosa, prima di scoprire che esiste un mondo di tecnica assai più utile e funzionale della creatività fine a se stessa. Per i motivi che ho spiegato e che mi hai citato, non ho proseguito né nella musica né nella poesia, perché la tecnica alla base di entrambe è effettivamente matematica, e anche perché in fin dei conti non mi interessavano: la musica mi piace ascoltarla, non riprodurla, e la poesia mi limita troppo: se ho qualcosa da dire preferisco usare la prosa.

Il prosatore non ha più il problema di dividere in sillabe da quando la Crusca (che ultimamente mi è parecchio calata :P) ha stabilito che l'andata a capo non è poi così indispensabile, che può addirittura essere libera laddove non si possa proprio eliminare. Il fatto si spiega semplice: coi vecchi sistemi l'impaginatore era costretto a mandare a capo il mondo per ottenere il famoso "giustificato" (cioè il monobloccone di testo, tutto paro sia a destra che a sinistra dei margini), con l'avvento del computer e dei programmi di videoscrittura e di impaginazione è stato tutto risolto. Non so nemmeno se, al giorno d'oggi, nelle scuole, insegnino ancora la sillabazione per andare a capo.
Certo è che le sillabe si allacciano a molte delle figure retoriche delle quali parli, e che io amo.
Credo che della poesia le figure retoriche siano quelle che mi stuzzicano di più in assoluto, proprio perché, come dici tu, si utilizzano anche nella prosa.
Fibonacci e la Sezione Aurea sono temi che si ritrovano ovunque nel mondo dell'arte, basti pensare che le proporzioni umane adottate dai greci per le loro sculture si basano sulla Sezione Aurea!, ma sulla prosa non pesano tanto quanto nella poesia e nella musica... come dire "la prosa ha meno calcoli", è più svincolata dalla metrica seppure un buono scritto di prosa dovrebbe avere il proprio ritmo, quasi che fosse scandito da un metronomo. Però per questo non servono calcoli, sillabazioni o contorsioni stilistiche, basta semplicemente che lo scrittore ascolti la propria voce interiore mentre scrive, e che poi rilegga spesso, di continuo, a voce alta, o faccia rileggere qualcuno per sé, basta un poco di orecchio allenato per capire se qualche parola è fuori dal ritmo, non serve mettersi a fare i conti :P

Con questo non voglio certo sminuire la poesia, anzi, è sui miei limiti che punto il dito, sulla mia testaccia che non mi consente di mettermi a contare nel bel mezzo di un concetto, che m'impone invece di scrivere e scrivere e scrivere finché ci sono le idee, poi rileggere a iosa finché ci sono le stonature e le lacune nel ritmo. Se dovessi pure contare e badare a ulteriori regole oltre a quelle - già pesanti ma per lo meno assimilate - della grammatica e della sintassi, finirei per consumare quei pochi neuroni che ho. E' un discorso di affinità, il mio, che mi porta per istinto a rifuggire tutto ciò che so di non poter comprendere, lo stesso istinto che mi avvicina invece, attraendomi col fascino, alle cose che so di riuscire a capire, intuire, immaginare, accettare.
 
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view post Posted on 8/7/2017, 17:55     +1   -1
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Grazie a entrambe per la bella discussione che avete creato qui.
Pare di essere seduti in platea in un vero forum in "carne e ossa", altro che virtuale :B):!

Un workshop con i fiocchi!
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Non so se ve ne rendiate conto ma state dando al forum il significato più pieno che potesse avere.
Uno scambio alla pari tra persone con diverse competenze, senza maestri e maestrine.
Mi piace davvero tanto questo clima da "caffè artistico parigino" ^_^ !
 
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*SHORY*
view post Posted on 8/7/2017, 22:08     +1   -1




Il fatto che tu abbia un "orecchio naturale" estremamente sviluppato ti avrebbe facilitata enormemente nello studio di uno strumento musicale.
Ce l'ho anch'io ma da bambina non ho avuto l'opportunità di esercitarlo perché il mio massimo è stata un'armonica a bocca: ricordo che provavo e riprovavo la melodia de "Il silenzio".
Successivamente avrei voluto imparare la chitarra classica (anche se il mio sogno è sempre stato il violino) ma occorreva seguire delle lezioni in una scuola in altra città e già solo raggiungerla mi sarebbe venuto scomodissimo.
Poi lavoravo: otto ore tonde a contare soldi o quadrare conti (sono una ex bancaria, immaginati come mi piaceva) e l'idea di mettermi a solfeggiare (perché i primi tempi quello ti insegnano) mi faceva andare di testa.
Con la poesia in metrica (che tra l'altro uso e non uso) ho cominciato da circa un anno e mezzo: prima, salvo rarissime composizioni in versi liberi, scrivevo solo in prosa.
Poi ho conosciuto una persona che fa poesia da tanto tempo e che, leggendo i miei racconti, si è accorta come alcune frasi avessero una forma ed un contenuto poetico. Allora ha insistito perché provassi e l'ho fatto ma, di metrica, non ne volevo sapere.
Ho cambiato idea quando mi sono avvicinata alla poesia orientale: lì le regole da seguire sono poche, i conteggi minimi (5/7/5, quinario/settenario/quinario, ovvero versi semplicissimi) e la creatività si esprime soprattutto attraverso ciò che si vede.
In seguito mi sono un po' allargata studiando perché, per quanto possibile, cerco sempre di approfondire un argomento, ma certamente non sono in grado di tenere lezioni di poesia classica (orientale sì, ci ho perso veramente la testa).
Tieni conto che io non ho una formazione umanistica, anche se, ovviamente, potendo fare una scelta, avrei frequentato il Classico; così non è stato: ho "solo" il diploma di ragioniera e, riguardo alla letteratura, una grande passione.

Il discorso del verso libero è esattamente quello che fai tu: a parte poche persone talentuose (come Costanza), i risultati sono risibili.
Molti dicono: "Sì, ma gli ermetici componevano in versi liberi". E' parzialmente vero, ma lo facevano per libera scelta, non perché non conoscessero la metrica. Il loro voler sperimentare nasceva proprio dalla voglia di rompere gli schemi già utilizzati da altri. E, spesso, dietro un'apparente utilizzo del verso libero, esiste un sapiente occultamento di versi sciolti e figure metriche. Il primo Ungaretti usò gli "spezzati" (ternari + quaternari che poi non sono altro che settenari, il verso principe della nostra metrica) ma poi tornò sulla via del classico.
Quindi chi ha conoscenza della metrica può liberamente scegliere se usarla o meno a seconda delle circostanze e a seconda di come fluisce quella determinata composizione, chi non ha detta conoscenza possiede un'unica opzione.

Non so se alle elementari si studi ancora la divisione grammaticale: certo è che se quella persona, da grande, vuole diventare un poeta "tradizionale", la deve conoscere perché la sillabazione è fondamentale così come è importante saper fare il distinguo tra parole tronche, piane, sdrucciole e bisdrucciole. Mi fermo qui perché, a seconda del verso che si vuole utilizzare, anche gli altri accenti sono importanti e quindi, affinché tutto vada con l'armonia, bisogna contare pure quelli. Insomma, un lavoraccio, peggio della banca. ;)

@ Corrado

Ho la linea che mi fa dannare: continuo a scrivere e inviare a spizzichi.
Condivido in pieno il tuo dire: è da questo tipo di conversazioni che si trae maggiore soddisfazione anche se è ovvio che in un Forum letterario conta anche l'aspetto squisitamente tecnico e di supporto.
Io ho sempre un po' paura a lanciarmi perché è facile credere che uno si esprima in un certo modo "per tirarsela": anche dal vivo spesso mi taccio perché ho l'impressione che gli altri mi considerino "strana".
Il mio parlato non è granché dissimile dal mio scritto che non è granché dissimile dal mio pensiero; non so se succede a tutti: in me i tre processi avvengono quasi nel medesimo istante. O forse è il mio vocabolario: troppo esteso, oggi non si usa più. :)

Aver fatto conoscenza di persone come è Terry (prima le signore ;)) e come sei tu è stata una grande fortuna :wub:


Edited by *SHORY* - 8/7/2017, 23:34
 
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view post Posted on 9/7/2017, 01:54     +1   -1
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CITAZIONE (*SHORY* @ 8/7/2017, 23:08) 
Il fatto che tu abbia un "orecchio naturale" estremamente sviluppato ti avrebbe facilitata enormemente nello studio di uno strumento musicale.

Figurati, io da ragazzina suonavo di tutto :lol: la pianola, il flauto, tutti gli strumenti "classici" che vengono insegnati a scuola insieme agli spartiti e a leggere la musica: in questo ero una capra, invece nel suonare difficilmente cannavo una nota!, tanto che ricordo con orrore e divertimento il giorno del fatidico "spettacolo" a scuola, nell'aula magna; non che fosse arrivato all'improvviso, ma per la mia classe che non aveva ancora deciso quale pezzo suonare - e che quindi non aveva fatto uno straccio di prova - era andata proprio così; fino al giorno prima c'era una mezza voce di corridoio sul portare Il mattino di Grieg, che di punto in bianco il giorno dello spettacolo si trasformò in Imagine di John Lennon... e io avrei dovuto suonarla con la chitarra! :woot: Alla fine nessuno si è accorto delle stecche tremende, ma giuro di non avere idea di come io sia uscita da quel disastro! E' stato come quando ci si sogna di essere a scuola o sul posto di lavoro in un giorno importante, ed essere completamente nudi! :woot:
Ho imparato la chitarra da autodidatta o quasi, con qualcuno che mi faceva - letteralmente - i disegnini su come dovevo posizionare le dita per formare un determinato accordo, ma la chitarra è strumento d'accompagnamento, il mio sogno proibito era il pianoforte e, per mancanza di fondi e di spazio (dove te lo metti un pianoforte a coda in una casa di 80 mq?), mi accontentavo della pianola Bontempi, che però non suonava più di due o tre tasti per volta :lol:
Alla fine, capita l'antifona del "leggere e scrivere la musica", ho rinunciato senza rimpianti a tutto quanto :P
CITAZIONE
ricordo che provavo e riprovavo la melodia de "Il silenzio".

Anch'ioooo!!!! :woot:
Tu pensa: da piccina abitavo vicina a una caserma militare, e ogni sera poco prima della nanna sentivo questa melodia lontanissima, bella, dolce, struggente... praticamente mi ci addormentavo! Così, non sapendo cosa fosse e non avendola mai sentita per bene (ero comunque in una città, caotica fino a tarda notte), di giorno tentavo di riprodurre questa melodia con la mia pianolina (max 3 tasti per volta oppure sfiatava! :lol:). Qualcuno, passando di là, riconobbe la melodia e me ne svelò il titolo e la storia... per me fu come se avessi risolto chissà quale mistero!
Cavoli, erano millenni che non pensavo più a questa storia! blush2
CITAZIONE
Ho cambiato idea quando mi sono avvicinata alla poesia orientale: lì le regole da seguire sono poche, i conteggi minimi (5/7/5, quinario/settenario/quinario, ovvero versi semplicissimi) e la creatività si esprime soprattutto attraverso ciò che si vede.

Infatti l'arte degli Haiku affascina anche me; l'idea di suscitare immagini ed emozioni intense, in così poco spazio, mi dà un ché di magico. Ma non credo d'essere ancora pronta per un Haiku, principalmente perché il mio punto debole nella scrittura sono proprio le emozioni: non so trattarle, non so descriverle, non mi piace indugiare troppo a lungo su qualcosa che, in fin dei conti, è stata scritta da sempre, qualcosa della quale è stato detto tutto il dicibile. Ogni mio scritto si concentra sulle azioni, sulle trame, sul realismo psicologico dei personaggi, e credo che, semmai riuscirò a diventare brava, allora anche l'emozione (necessaria anch'essa per rendere reali situazioni e personaggi!) verrà fuori da sé dai miei protagonisti fittizi, senza il bisogno che io la spieghi o la menzioni.
E in secondo luogo, ma non ultimo per importanza, credo che per comporre un Haiku sia necessaria una sensibilità d'animo che non possiedo. Ma la mia natura è di tipo dubitativo, e tendo a mettere in discussione ogni cosa, persino i miei capisaldi, quindi non posso escludere che, magari, potrei scoprirmi più "sensibile", all'occorrenza, di quanto io non immagini d'essere.
CITAZIONE
Il discorso del verso libero è esattamente quello che fai tu: a parte poche persone talentuose (come Costanza), i risultati sono risibili.
Molti dicono: "Sì, ma gli ermetici componevano in versi liberi". E' parzialmente vero, ma lo facevano per libera scelta, non perché non conoscessero la metrica. Il loro voler sperimentare nasceva proprio dalla voglia di rompere gli schemi già utilizzati da altri. E, spesso, dietro un'apparente utilizzo del verso libero, esiste un sapiente occultamento di versi sciolti e figure metriche. Il primo Ungaretti usò gli "spezzati" (ternari + quaternari che poi non sono altro che settenari, il verso principe della nostra metrica) ma poi tornò sulla via del classico.
Quindi chi ha conoscenza della metrica può liberamente scegliere se usarla o meno a seconda delle circostanze e a seconda di come fluisce quella determinata composizione, chi non ha detta conoscenza possiede un'unica opzione.

Convengo, assolutamente! Per mia dimenticanza l'ho omesso nel post di prima (oggi ho avuto una giornatina un po' movimentata e distraente :lol:), ma sono del parere - ed è quello che mi ha fatta avvicinare alla scrittura creativa, seppure con qualche remora - che per boicottare la tecnica... o meglio, per stabilire che la tecnica non serve, occorre prima conoscerla. Un discorso che trovo valido in qualsiasi campo della vita. Picasso decise di fregarsene della tecnica, della prospettiva, del realismo e di tutto quanto, dopo averli appresi, per creare questa nuova e strana cosa chiamata "cubismo": lui non trovava giusto che la limitazione naturale umana imponesse di scorgere, di una figura, soltanto alcuni dettagli, lui voleva mostrarli tutti! A mio avviso decisamente discutibile il risultato, ma ciò non toglie che Picasso sia stato un genio del suo genere, l'emblema del rompere gli schemi e uscirne fuori per sperimentare altre vie. Se non la sua pittura cubista, di lui, è questo che mi ha sempre affascinata tantissimo.
Lo stesso dicasi per la musica sperimentale dei King Crimson, che registravano le manciate di chiodi che cadevano per terra, per trovare un nuovo "sound" che rompesse gli schemi. Una "cagata pazzesca" [cit. in memoriam], una cacofonia da accapponare gli intestini, ma diamine se quello non è coraggio!
E rompere gli schemi, lo ammetto, mi è sempre piaciuto :)

CITAZIONE
@ Corrado
Condivido in pieno il tuo dire: è da questo tipo di conversazioni che si trae maggiore soddisfazione anche se è ovvio che in un Forum letterario conta anche l'aspetto squisitamente tecnico e di supporto.
Io ho sempre un po' paura a lanciarmi perché è facile credere che uno si esprima in un certo modo "per tirarsela": anche dal vivo spesso mi taccio perché ho l'impressione che gli altri mi considerino "strana".
Il mio parlato non è granché dissimile dal mio scritto che non è granché dissimile dal mio pensiero; non so se succede a tutti: in me i tre processi avvengono quasi nel medesimo istante. O forse è il mio vocabolario: troppo esteso, oggi non si usa più. :)

Aver fatto conoscenza di persone come è Terry (prima le signore ;)) e come sei tu è stata una grande fortuna :wub:

Anch'io, anch'io! :D
Sono sempre molto contenta di questo tipo di scambi, ampliano i propri orizzonti e io adoro che i miei si dilatino, mi aiuta a modificare i punti di vista, mi rimette in discussione e mi dà modo di riflettere.
@Shory: fregatene di cosa "pensa" la gente!
La gente "pensa", sempre e comunque, soltanto perché può farlo. La gente fa un sacco di cose soltanto perché può farle, è nella natura umana, rafforza l'illusione di libertà. Non si può impedire alla gente di "pensare", né la si può istruire sul Pensare; la differenza è un abisso, ma per la gente è minima se non inesistente; chi "pensa" lo fa di solito senza ragione, chi invece Pensa lo fa guardando oltre le apparenze, più in profondità, non si limita a ciò che sembra ma cerca ciò che è. Personalmente, credo che sia di questo tipo di Pensiero che ci si dovrebbe preoccupare, al quale si dovrebbe dare ascolto, sul quale ci si dovrebbe fermare a ponderare. Tutto il resto è soltanto rumore di fondo.

Io dal vivo tendo a fare virginalmente arrossire gli scaricatori di porto e i camionisti, ma tra una parolaccia e l'altra me ne esco con certi paroloni aulici che lasciano chi mi ascolta proprio con questa faccia qui: :blink:
Corrado già lo sa perché gliel'ho raccontato in altra occasione, ma già che siamo in tema mi ripeto: amici, parenti e persone che comunque mi conoscono bene, quando decisi di fare outing con la scrittura (riassunto delle puntate precedenti: scrivo dacché ho imparato a tenere in mano la penna, ma mi sono sempre rifiutata di far leggere ciò che scrivevo, fino a poco tempo fa), conoscendo il mio modo di esprimermi tutt'altro che castigato, vissero una strana sorta di sdoppiamento della vista: da un lato io e il mio Dizionario Enciclopedico della Parolaccia, dall'altro io e i mostruosi, ameni paroloni dei quali i più non conoscevano il significato e si fermavano dalla lettura per chiedermi "che significa questa parola? E quest'altra?". I più diplomatici commentavano "accidenti, non credevo che scrivessi così" (mai capito se fosse un complimento o una critica! :lol:), i più intimi cercavano almeno una parolaccia, ché almeno potessero comprenderla :P
E' pur vero che non resi loro la vita facile, tirando fuori - stile illusionista il coniglio dal cilindro - questa storia qui. Poi, ok, esageravo coi paroloni pur non facendolo né apposta né per darmi chissà quali "arie", era proprio il mio modo di scrivere, e difatti la prima critica che ricevetti - e quella alla quale devo il primo gradino di miglioramento - fu "scrivi troppo difficile". Non smetterò mai di ringraziare la persona che mi rivolse quella critica :)
Questo, soltanto per dire (e ok, ho deragliato!) che la gente "pensa", la gente "vede", la gente "sa". Le persone intelligenti Pensano, Guardano, Deducono e sono pronte a riconoscere d'essersi sbagliate nelle loro supposizioni, ben lungi dall'essere, comunque, sicurezze.
Non parlo forbito perché la gente non mi capirebbe e si farebbe un'idea sbagliata di me: un'idea che non voglio, assolutamente, dare loro. Voglio che sappiano, sin da subito, che sarei pronta a sputare in faccia la mia sincerità a chiunque. Difficile conciliare questo concetto con la parolaccia, finché non si realizza che se uno/a non ha peli sulla lingua per il turpiloquio, probabilmente non ne ha neppure per dirti tutto ciò che pensa.
E che la gente continui pure a pensare che altrimenti non saprei esprimermi: adoro assistere al gioco di equivoci portato dalle interpretazioni fallaci :P

@Corrado
Eh sì ma basta di fare il guardone! Piglia una sedia, ordina un caffè e partecipa anche tu ;)
 
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