Forum per scrittori: La vetrina dello scrittore esordiente

Un brillio a Natale

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Robbie 2046
view post Posted on 25/12/2016, 12:46     +1   -1




Premessa; non è un mio solito racconto, più che altro è nato, in un unico getto d'inchiostro in tarda notte (nemmeno l'ho riletta quindi mi scuso, in anticipo, per la quantità di errori che ci saranno; dovevo pubblicarla oggi però) così per dover raccontare un qualcosa che mi ha inaspettatamente sorpreso.
È un viaggio in una mente un poco contorta e per niente incline alla lucidità. :D
Per chi ha voglia e coraggio legga pure, altrimenti. Buon Natale comunque ^_^


Brillio di Natale



Le feste di Natale è come se mandassero in solluchero chiunque; chiunque escluso me. Anzi, non appena l’ultimo mese dell’anno apre le sue porte è come se il mio corpo si preparasse ad affrontare un ladro, appena scoperto, mentre tenta di entrare goffamente in casa mia. L’ansia e la nostalgia di quei giorni si mescolano assieme dandomi un’aura d’incandescenza che maschera completamente la mia timidezza e spesso mi rende suscettibile ed intrattabile.
Il bello è che non ci posso proprio fare niente, mi prende ogni anno ormai dopo il fattaccio, è un dato di fatto incontrollabile. Malgrado faccia le mie mosse o cambi di compagnia, di anno in anno, non c’è niente che possa farci; arriva sempre e comunque questa sensazione di disagio.
Sarà il periodo di queste feste maledettamente famigliari, o del brillio dell’eterne sfavillanti luminarie delle loro case, tutte inanellate lungo le loro ringhiere arrugginite mentre arrivano fino al grande ospite del giardino, quel grande e grosso albero sempreverde tutto agghindato per l’occasione. Sarà che ottanta kilometri al giorno, tra andata e ritorno per andare a lavoro, mi fanno un po’ dare di matto in queste settimane prima di tornare alla mia “Tempestosa”. Un luogo che non sento più come casa mia, ormai è divenuto solo un posto in cui vivo, un altro luogo in cui devo di nuovo imparare a respirare, e in cui devo rammentarmi ogni volta di inspirare profondo prima di rispondere.
O forse il problema è solo alla base; sarà solo dovuto al fatto che il Natale, per me, porta ancora l’odore troppo forte e intenso di famiglia e sono anni ormai che quel profumo caldo e dolciastro si è dissolto nell’aria algente come nuvole di zucchero.
Ne avrei mille di ipotesi e potrei continuare ancora, davvero, ma preferirei fermarmi prima di perdere il lume della poca ragione che mi è rimasta. Fatto sta infatti che sono tante piccole gocce così, che però messe assieme, fanno traboccare il vaso e mi fanno uscire di testa sul serio.
Insomma, il fatto che vorrei e dovrei raccontare è una storia diversa, o se non altro almeno credo sia proprio il giorno adatto. Fatto sta che è la Vigilia di Natale mentre m’incammino verso la macchina. Le luci a led danzano assieme a quelle delle vetrine, riflettendosi dal marciapiede ghiacciato al mio sguardo chino, durante il mio passaggio. Il freddo non mi ha mai infastidito per cui me ne sto tutto tranquillo nel mio cappotto aperto nella fredda prima aria invernale. Non sarei dovuto andare in città ma non volevo perdermi l’occasione di passare almeno un giorno lontano dalle solite quattro pareti portanti sigillate e confezionate, lontano dalle solite persone, via dalla mia pazza folla, almeno per poche ore; libero, esatto, libero di vagare perché in fondo io sono un essere vagabondo nell’animo.
Sì, lo ammetto, forse dovrei spiegare il fattaccio per farvi capire meglio ma non mi va di parlare di quello, sarebbe deprimente per voi e per me, perciò non ho intenzione di provarci, sarebbe un brutto modo di parlare del Natale; un po’ come imprecarci sopra e questo non è il giorno adatto per farlo.
Continuando a camminare lascio la piazza con quel bailamme di gente e di luci girando per il vecchio corso principale. Proseguo volgendo lo sguardo verso l’alto, in un palazzo un pò malmesso; al secondo piano dello stabile c’è la “Casa d’Aurora”, un centro socio-educativo per bambini dai sei agli undici anni. Ci ho lavorato per un pò là, e come ne sono entrato non ne sono fortunatamente più uscito. Quando un posto lascia un pezzo così importante di sé nei tuoi occhi, non puoi che lasciare un pezzo di te là dentro, anche solo come scusa, per poter tornare poi a prendertene cura; e così di tanto in tanto lo faccio. È incredibile quanto alcuni bambini sappiano davvero darti lezione, i migliori insegnanti che io abbia mai avuto senz'altro.
I miei occhi intanto si soffermano sulla luce calda ancora accesa della finestra, probabilmente c’è o c’è stata una festa, ma le mie gambe scelgono di lasciarsela alle spalle comunque. Oggi mi sento così logoro che non sarei proprio capace di prendermene cura.
Oltrepasso l’edificio, scendo dal marciapiede e attraverso la strada frastornata di macchine e famiglie. Riprendo il solito tratto che facevo sempre quando andavo e tornavo da quel lavoro. I miei colleghi mi prendevano in giro perché lasciavo la macchina un pò distante ed io rispondevo facendo spallucce e abbassando lo sguardo, come se la mia smorfia teatrale e neutra riuscisse a risponderli. In realtà mi piace camminare da solo, o correre di tanto in tanto, mi fa pensare e mi aiuta a non sprofondare quando sto in questo stato. È come se la sensazione del vento che sbatte gelido sulla fronte sudata mi impedisse di sentire sbattere qualcos’altro di cui non so dare forma, e che irrimediabilmente fa molto più male. Mi sfogo e mi distraggo già; talvolta se non sono in grado di gestirli preferisco fuggire alcuni problemi, per un po’ almeno, non per codardia ma perché per vincere il nemico, prima, va studiato.
Il fatto che comunque passassi sempre per quella lunga strada lastricata, sotto quel grande portone di legno massello di un certo ufficio e in cui lavorava una certa ragazza; questo era soltanto un caso. Una pura e semplice casualità come i continui incontri clandestini dei nostri sguardi le prime volte.
Ripenso alla fortuna che ho avuto perché davvero, all’inizio, non avrei mai creduto che potessi vincere quegli incontri clandestini dei nostri sguardi rubati.
Mi addolcisco al pensiero e mi scappa una mezza parola a voce alta: “Grazie”. Un passante lì di fianco, un uomo brizzolato e barbuto e mezzo incappucciato, annodato come un bambolotto, mi guarda come fossi matto, e forse non ha tutti i torti. Entra nel negozio accanto e mi lascia lì a tramortire da un orso, tutto vestito in rosso e feltro bianco appeso alla porta come un impiccato, mentre intona una ormai più che usurata “Jingle Bells”.
Passato l’isolato e girato l’angolo costeggio la via che porta al borgo della città, ma la percorro contro-corrente, risalendo alla tranquilla periferia. La marmaglia sguazza ancora come in un fiume in piena mentre passo per il vecchio caro cinema carico di ricordi; il freddo, qua fuori, tenta di aiutare a gremirlo. Mi ritrovo di nuovo immerso nella fitta pazza folla. Piccole famiglie, coppie, e bambini sono in fila per il loro caldo film natalizio. Chi un film animato, chi un cinepanettone e chi forse, tra i pochi, si sente diverso e aspetta il suo film d’autore.
Dei ragazzini ingrati, lì in mezzo, in preda agli ormoni si abbracciano e stridono imprecazioni dal nulla in ogni frase, se ne stanno lì a cozzare i loro corpi intorno a delle ragazzine sorridenti e più che amichevoli, quei poveretti. Sogghigno un po’ a osservare la scena, loro sono solo ignari e innocenti ma quelle hanno occhi di lince. Uno di quei ragazzi intanto, mi chiede una sigaretta, ha dei brufoli sulla fronte e un ciuffo scuro maldestro a coprirli invano; il suo volto non sa ancora cosa sia la barba.
Tutti ridono e scherzano innocui eppure mi contorcono lo stesso lo stomaco, come se fossi il solo essere monocromo dentro il loro mondo. Una volta allontanato, quando penso di essere riemerso dalla marea qualcosa d’improvviso mi richiama, mi congela lì sul posto all’istante.
Per poco non mi prende un accidente.
La luce scintillante di una vetrina risalta e dona luce ai colori caldi della sua folta chioma riccioluta che, come una cascata dorata, scivola selvaggia sotto quel suo basco candido alla francese. Eccola, Lei.
Dire che non pensavo di trovarla è una bugia ma ho dovuto mentire a me stesso per vagabondare di qua. Il profilo fine e la sua pelle magra mi fanno sentire il suo odore caldo già allo sguardo. Gli occhi marroni come l'autunno vagano oltre la vetrata, ed io chiudo i miei per un attimo, rammento le sue tenere lentiggini sulla guancia che portano ancora il sapore delle sue piccole labbra; la respiro. Lei sì, che mi manda in solluchero. È un mondo a parte, anzi una galassia nascosta in cui mi è capitato di trovare vita, quei suoi teneri piccoli punti sulle sue guance perlacee non sono che una costellazione incantevole ai miei occhi bramanti. Le stelle non sono infatti che delle muse agli occhi dei sognatori?
Quando rialzo il sipario delle mie palpebre ha ripreso a camminare, leggera e sola, percorre esattamente la mia stessa strada. La seguo piano, come un’ombra lunga quasi trenta metri. Nella strade vi è una festa dei folli e ci sono decine e decine di persone intorno. Come quando ci siamo conosciuti, in quel locale striminzito e assordante, centinaia di persone d’intorno ed io vidi un unico essere umano in tutta la serata. Sorrido appena, affogato nel ricordo, troppo facile con lei ammutolire le aspre emozioni di prima.
Seguendola la guardo sempre splendida, fluttuare tra le nebbie di luci intermittenti, tenera ma fiera come una piccola peonia in fiore. Forse non è la classica ragazza per cui tutti si girano: non si veste succinta ed sempre molto elegante, non ha modi estroversi di porsi ed è quasi come se si nascondesse; è gentile, linda.
Tende a stare in disparte nonostante alla fine ci sia sempre. Sorride sempre contagiandoti e Dio! Come ascolta. Lei sì che riesce a entrarmi dentro. È quel suo modo di non giudicare mai e di farmi ragionare, di come sa farmi superare il limite; di questo poi, lei ha la sola unica prerogativa a riguardo. Siamo nati così noi, lentamente e poi profondamente , insieme come la frase fatta di una certa canzone che porta il suo nome, “Ti cerco e tu, e tu ci sei. E non prendi tutto quello che vuoi”.
Lo ammetto, forse all'apparenza potrà non avere niente di particolare agli occhi altrui, ma io ho visto l’immensità che nasconde e sono stato completamente assorbito, è stato infinitamente dolce e facile annegare; non avevo mai conosciuto la vera bellezza finché non mi ha insegnato che è sempre e solo nel riflesso di chi la osserva.
Completamente assorto nel mio turpiloquio mentale, con la sua perenne figura incatenata al mio sguardo perduto, non mi accorgo di niente e in men che non si dica sento delle grida in crescendo che mi richiamano alla grigia realtà.
Qui mi prende il secondo accidente.
Non appena mi volto, una piccola figura, tutta di corsa, si tuffa verso di me e affossa il suo viso scuro e liscio nel mio petto avvinghiando mani e gambe al corpo come un piccolo ragno sulla sua preda. La sorreggo con le braccia per non farla cadere. Stringe fortissimo per il suo esser bambino.
«Robeeeee!» La piccola mi guarda fisso negli occhi, dal basso, attaccata al mio addome, con quei suoi occhioni neri e lucidi, trasformando il suo viso serio con uno splendido sorriso.
«Malika, oddio come stai?» La bambina faceva parte del Centro, l’ho vista crescere fino ai suoi quasi dieci anni, da quando ancora non andava a scuola. Le ho perfino insegnato ad andare in bicicletta, ma erano comunque mesi che non la vedevo.
Mentre continua a soffocarmi nell’abbraccio stretto osservo dietro di lei, e seduta alla panchina dell’autobus, avvolta in un piumino scuro, vedo Samira, sua madre; con le mani alla bocca ci ansima sopra per scaldarle e la nebbiolina si mischia all’aria gelida della sera. Mi saluta sorridente come sempre distendendo i suoi occhi scuri proprio come la figlia.
La mia Lei, che seguivo come un pazzo nella notte, gira l’angolo svanendo nel buio della città. Resto lì a fissare il nulla nell’oscurità e penso che forse è meglio così, nonostante il desiderio dica altro.
Nel cercare di arrivare da sua madre devo prendere in braccio Malika, dato che non vuole staccarsi nemmeno per un attimo.
La sua voce è una mitraglia gentile. Mi racconta di tutto e di più di lei: dei troppi compiti nella nuova scuola, della mamma e della nuova casa, del Centro che le manca tantissimo e infine di un ragazzino, nella nuova classe, che le piace. Gli ha chiesto di stare insieme, un pomeriggio, ma lui invece non ha risposto; è scappato.
«Però mi cerca sempre tutti i giorni. Che devo fare?» Chiede, girando il labbro inferiore prima e nascondendosi di nuovo il volto poi, nel mio cappotto. Mi fa sciogliere in un caldo sorriso mentre le scompiglio i capelli sulla fronte.
Samira ha gli occhi stanchi e seduta sotto le luci, la sua pelle d’ambra ancora giovane ha un riflesso rossastro.
«Ça va bien?» domanda.
Inclino il volto facendo spallucce e le accenno un mezzo sorriso. «C'est la vie. Et vous?»
Allarga le braccia e alzandosi mi saluta con suoi tre bisous sulla guancia. Mi racconta un po’ di sé mentre di tanto in tanto lascia cadere il discorso a metà, facendo cenno della bambina e capisco il brutto periodo che ha passato da quando il padre della bambina le ha lasciate sole. Stanno aspettando l’autobus per tornare a casa, sono venute a fare la spesa e a comprare un ultimo regalino a Malika, un piccolo ukulele rosa per bambini.
Soffiano entrambe nelle loro mani infreddolite e rifletto sulla nebbiolina che fuoriesce dalle loro boc-che così, senza pensarci due volte, decido in fretta.
«Come ai vecchi tempi?» chiedo.
«Sì, come ai vecchi tempi. Dai mamma». Samira mi sorride accontentando la figlia.
Andiamo alla mia macchina e, come ai vecchi tempi, le riaccompagno a casa. Lei si affossa esausta nel sedile accanto al mio ma la bambina invece mi abbraccia di tanto in tanto dal sedile dietro, saltellando e stridendo giocosa mentre continua a raccontarmi le sue giornate e come passerà il Natale.
Quando arriviamo dentro casa il deserto incontra la pianura padana. Un profumo di cous cous e di tajine di verdure e pollo tunisini, si amalgama all’odore della pasta fresca all’uovo, fatta in casa; è un déjà vu e mi prende uno sconforto assurdo che mi stringe lo stomaco mentre tento di nasconderlo.
Inizio a sudare freddo e sento il bisogno di andarmene, così l’aiuto velocemente a sistemare la spesa mentre Samira mi dice di suo marito, che infine ha accettato la separazione, e che in carcere si è pentito delle violenze e di ciò che ha fatto a loro. «Malika non l’ha ancora superato e nemmeno io,» racconta, «ma ora andrà meglio». Mi ammicca accompagnando un tenue sorriso.
Sua figlia ha avuto un rapporto particolare con noi del Centro, non parlava quasi per niente quando l’ho conosciuta una volta arrivata, ed ora è un mitra gentile mentre parla, non la finirebbe più.
«Con lei mi sento fortunata, dopotutto.» Stavolta sorride del tutto spensierata, mentre entrambi la guardiamo tutta indaffarata con le sue matite colorate.
Le saluto con i tre bisou sulla guancia e la bambina sfila da sotto una mano un disegno: ci siamo noi tre, e una scritta, “TI VOGLIO BENE”. I suoi occhi diventano lucidi all’istante appena leggo e commento ad alta voce e nasconde ancora una volta il suo volto nel mio petto dicendo che le sono mancato tantissimo. Guardo l’albero di Natale illuminarsi dietro di lei, nell’ingresso, e chinato alla sua altezza sento anche i miei occhi velarsi leggermente; la stringo forte a me, fra quei dolci odori culinari, «grazie Malika», e il déjà vu prende forma propria.
Ripenso al Natale, allo squilibrio emotivo che mi crea e mi rispondo che forse è semplicemente dovuto proprio alla mancanza dell'odor gentile di pasta fresca, quella che mia madre, fino all’ultimo Natale, preparava alla vigilia per tutta la famiglia al completo, ma che il tempo, egoista e giocatore sporco, l'ha velato con il tabacco otturando i ricordi del mio olfatto, perdendolo.
In fondo è esattamente così: odio così tanto il Natale perché l’ho amato troppo; è che i rimpianti arri-vano solo in inverno, perché quando si ha la primavera per un'intera vita non dovremmo scordarci di ringraziare.
Dopo il fattaccio, questo è il primo vero regalo di Natale. Una sorpresa che è arrivata improvvisa dall’esser più piccolo che io conosco, il suo disegno poi è una confezione perfetta per il regalo più bello; quel suo sorriso sincero e i suoi occhioni scuri dipinti nella sua pelle d’ambra, tra i capelli corvini e dritti persi sotto il mio mento, in quel suo abbraccio sincero così stretto da farmi quasi male.

Edited by Robbie 2046 - 20/1/2017, 00:25

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view post Posted on 25/12/2016, 18:18     +1   -1
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Bellissimo racconto natalizio.
Un percorso introspettivo davvero struggente per questo tuo personaggio dall'animo profondo.
Questo racconto, che consiglio, nonostante la lunghezza [io mi sono aiutato con la lettura automatica], descrive atmosfere cupe come può essere cupa quella solitudine rassegnata dovuta al distacco irreparabile creato dal sopraggiungere della morte.
Ma non solo questo è nel fondo di questo racconto, un vero e proprio crogiolo di sentimenti pronti da essere colti; l'idealizzazione di un amore che si vorrebbe raggiungere ma che, allo stesso tempo, si respinge per il timore che renderlo manifesto possa farne perdere quella candidezza che lo caratterizza.
Infine la speranza, la speranza degli occhi di un bambino ai quali poter affidare, come in una staffetta delle emozioni, i propri sogni sfortunati per far si che si possano avverare, almeno per lui, in una vita meno difficile.

Complimenti per il pezzo e grazie per le emozioni che hai saputo evocare -_- !

Edited by Corrado Allegro - 25/12/2016, 19:00
 
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view post Posted on 25/12/2016, 22:14     +1   -1

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Entusiasta anch'io! Il Natale contiene tante cose: tante nostalgie dolci e tristi. Tu hai messo dentro tutto ciò che del Natale si può dire, senza enfasi, senza eccessi, senza retorica, senza rabbia o disperazione, senza disprezzo per nessuno. Ti sono venuta dietro nella tua passeggiata tra la gente fino alla tua casa dei bambini dove dai e ricevi amore ( lo scopo della vita) e alla casa di quella bimba che ti ha dato il suo regalo di Natale: il più bello di tutti i regali. Assomiglia, per valore, al regalo che tu hai dato a noi con un racconto così bello. Grazie Roberto. Spero che "quella" ragazza si accorga di te e del valore del tuo amore per lei.

Edited by Licia35 - 26/12/2016, 12:40
 
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view post Posted on 26/12/2016, 11:23     +1   -1
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Bellissimo in tutto, grazie di questo regalo!
 
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view post Posted on 26/12/2016, 11:44     +1   -1
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Penna d'oro

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Davvero bello!
 
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view post Posted on 26/12/2016, 19:55     +1   -1
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Roberto, hai una sensibilità che va oltre.
Complimenti vivissimi.
 
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view post Posted on 26/12/2016, 20:29     +1   -1
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Penna d'aquila

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Molto intenso e vivido. Mi è piaciuto.
 
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Robbie 2046
view post Posted on 28/12/2016, 03:26     +1   -1




Vi ringrazio moltissimo per aver letto, per essermi venuti dietro questo mio folle viaggio e per tutte le bellissime parole che avete pronunciato e dei complimenti. ^_^
Grazie anche della "voce" Corrado, e grazie, della bella ma al momento triste, "speranza" Licia.

CITAZIONE
casa dei bambini dove dai e ricevi amore

Brava, belle e giuste parole. È il concetto perfetto, in fondo, di quel luogo.
Quei bambini, così particolari, a cui l'amore è stato spesso negato o infranto, ne assorbono tutto quello che possono e ne sanno regalare, nonostante tutto, così tanto e in modo assolutamente esponenziale che a parole non sono così in grado di descriverlo in tutta la sua grandezza e bellezza. I migliori insegnanti, di vita, dopotutto sono stati proprio loro.
 
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7 replies since 25/12/2016, 12:46   157 views
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