Puntino d'inchiostro Moderatore di sezione - Group:
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| La serie di attacchi simultanei era prevista per il mese successivo. Il C.C., o comando clandestino, diede disposizioni in questi termini: sabotare i centri di logistica e produzione militare in periferia. A lui era toccato il magazzino di armi a impulsi nell’area portuale. Ormai era pratico a costruire esplosivi, sapeva camuffarli come nessun altro e fino ad allora era riuscito a non attirare sospetti sul suo conto. Ma sapeva che prima o poi gli agenti di Potere avrebbero bussato alla sua porta. Sarebbero entrati, con la forza, trascinandolo in una delle tante prigioni in mano alla Corporazione. Poi gli avrebbero conficcato dei cavi nel cervello esposto e risucchiato ogni informazione utile per sterminare quei pochi che ancora osavano sfidare il loro dominio mondiale. Ma doveva andare avanti, per sua figlia, per offrirgli un futuro migliore. Quella mattina passò dal minimarket sotto casa al negozio per articoli sportivi poco lontano. In entrambi i posti notò la stessa donna fissare imbarazzata gli scaffali, fingendosi una cliente. Due volte è una coincidenza. Vedendola anche dal ferramenta non ebbe più alcun dubbio. Tre volte è una certezza. Mi sta seguendo.
– Ehi, Signor Tucci, qualcosa non va? Stefano riprese a guardare davanti a sé. Laura, l’amica del cuore di sua figlia, teneva gli occhi sgranati e fissi su di lui. Le osservò il piercing sul naso, brillante e scarlatto; una farfalla stilizzata. Lo stesso di Kara. – Eh? Cosa? No, non ti preoccupare. Lei sorrise, abbassò gli occhi e passò gli ultimi articoli sotto il lettore. Nastro adesivo Un timer elettronico Cavi elettrici Stefano pagò, prese il sacchetto e uscì. Si appostò dietro una colonna all’ingresso, in attesa che quella donna le passasse accanto. Dopo qualche secondo lei raggiunse il marciapiede, scrutando ai due lati, disorientata. Dalla spalla destra scendevano i lacci di una borsa di pelle nera che le braccia stringevano con forza. Decise di affrontarla a muso duro. Non aveva tempo per quel genere di giochi. Aveva una missione da compiere. Appoggiò i sacchetti a terra. Sgusciò fuori dall’ombra e le afferrò la spalla sinistra, con irruenza, obbligandola a voltarsi. La donna sussultò. – Crede non abbia capito? Cosa vuole da me? Il suo pallido viso era coperto da enormi occhiali scuri e da un berretto sdrucito, da uomo. I lembi della giacca di seta leggera le svolazzavano sulle labbra carnose. – Mi scusi… non volevo innervosirla. Non sono brava in certe cose. – Allora perché mi sta seguendo? Per un attimo pensò di stare esagerando, che forse era tutto un equivoco e fosse semplicemente troppo sospettoso. Allentò la presa. Lei si allontanò di un passo e schiuse la borsa. Una mano sottile entrò, frugò veloce e poi ne uscì con una piccola scatola sul palmo aperto. – Ecco. Prenda questa. – Che cos’è? – Non lo so. Mi è stato chiesto di consegnarlo… a lei. Distolse per un attimo gli occhi profondi, agitati. Scrutava i passanti sul lato opposto della strada. C’era qualcun altro ad osservarli? Il Potere? – Chi? Chi glielo ha chiesto? – Anche questo non lo so. – Mi sta prendendo in giro? Era spaventata, le labbra tremavano incontrollate, così come la mano che reggeva quel pacco sigillato e senza scritte. – È ubriaca, o drogata… o tutte e due? Lei scosse il capo. Una lacrima le rigò la guancia destra. – Almeno sa chi sono io? – La prego, non mi chieda più nulla. Prenda questo pacco e mi lasci andare, io… Afferrò il pacco. Era leggero. Lo scrutò con cura da ogni lato; nessun segno distintivo, un semplice pacchetto come tanti, di quelli usati per le spedizioni autorizzate. Ci fu un’esplosione, poco lontano. I vetri tremarono. La gente intorno a loro si fermò, attonita, cercando di capire. Del fumo denso salì oltre gli edifici dal lato opposto della strada Ma che c… La donna scappò. Stefano la inseguì gridandole di fermarsi, ma ci fu un’altra esplosione, stavolta più vicina, dentro il minimarket. L’onda d’urto frantumò le vetrate di tutti gli edifici sulla strada, molteplici allarmi entrarono in funzione. L’asfalto tremò. Alzò istintivamente un braccio per proteggersi il viso. Dopo alcuni secondi lei era sparita. Era rimasto solo, in mezzo alla strada, tra il frastuono d’urla e lamenti metallici, reggendo un pacco senza scritte. Il telefonino squillò. – Capo, che sta succedendo? Un’auto fuori controllo si schiantò contro le colonne del ferramenta. – Non lo sappiamo. Due esplosioni. Hanno colpito uno dei nostri, in centro. Tu dove sei? – Proprio in mezzo a questo casino! Una delle colonne si spezzò, tagliata di netto alla base. Crollò al suolo a pochi metri da lui, frantumandosi in mille pezzi. Cazzo! – Cristo santo! Vieni via da lì. L’intero gruppo si sta riunendo alla centrale. Raggiungi… Il guidatore era incastrato tra le lamiere dell’automat. Gridava aiuto. Stefano cercò di avvicinarsi ma una seconda colonna si schiantò contro il tettuccio. Grumi di cervello schizzarono sull’asfalto umido. – Cazzo! Come hanno fatto ad individuarci? – Stefano… chi ti ha dato quel pacco? – Il pacco? Ma… Cadde la linea. Un boato in fondo alla strada, davanti a lui. Il suolo tremò ancora. Sottili crepe si insinuarono nell’asfalto morbido. Gente impazzita correva ovunque, cercando riparo. Sulla strada davanti al minimarket un paio di cadaveri carbonizzati… Aprì il pacco. Un terrore assoluto pervase il suo corpo, immobilizzandogli i muscoli, serrandogli la mente in uno stato di angoscia mai provata prima. Kara. Prese il telefonino e le mandò un messaggio. Aspettò trenta secondi. Nessuna risposta. Lasciò cadere a terra la scatola vuota, nascose in una tasca il biglietto insanguinato. Iniziò a correre verso casa. Dieci minuti a piedi, quattro minuti di corsa sfrenata. Altre esplosioni. Ne avvertì l’eco lontano, verso il centro. Correva in mezzo alla strada, sapeva che era la zona più sicura. Tutte le automat si erano spente. Impulsi elettromagnetici. Il Potere. Più si avvicinava a casa e maggiori erano i danni a persone e cose: corpi mutilati, schegge di vetro ovunque, lamiere accartocciate come prigioni sopra l’agonia. Una donna anziana barcollò fuori da un negozio, sommersa dal fumo e dalle fiamme ingorde. Arrivarono le prime ambulanze. I paramedici si guardarono attorno; avevano l’imbarazzo della scelta. Mancavano cento metri alla meta; solida struttura prebellica. Vide esplodere la banca di lato, crollò come una torre di cartapesta. Le macerie si riversarono sulle strade e sul giardino della piazza. Si formò uno squarcio al secondo piano del suo palazzo. Divampò un incendio. L’intero complesso tremò, ondeggiò, infine si piegò verso il lato privo di appoggi. Vide i suoi vicini di casa urlare dalle finestre, chiedere aiuto. Entrò e prese a salire le scale, un piano dopo l’altro. Una fiumana di persone la percorrevano a ritroso, cercando la salvezza. Raggiunse il sesto piano. Il telefonino squillò ancora – Tenente, dove si trova… La voce era piatta. – Ho raggiunto casa mia. L’edificio vicino è appena crollato e… – Allontanati. Raggiungi la centrale. Nessuna emozione. Cosa c’è che non va? – No, non posso. La porta era aperta… no, sventrata. – …chi ti ha dato quel pacco… Entrò in camera di sua figlia. Era legata al letto, avvolta da una cintura esplosiva, una cinghia di cuoio a serrargli la bocca. Un rivolo di sangue si era rappreso sulle cosce nude. I jeans stesi a terra. Vide il suo piccolo seno fuoriuscire dalla maglietta strappata. Gli occhi gonfi, colmi di lacrime, gridavano silenziosi. – Kara… Il telefonino cadde a terra. Qualcuno chiedeva di qualcosa ma nessuno rispose. Un’altra esplosione. L’ultima. Poi il palazzo crollò, portandosi dietro gli ultimi superstiti.
Il corpo giaceva inerme nella postazione Sim 1. Dalla poltrona reclinabile fuoriuscivano decine di cavi collegati ai fianchi e al cervello esposto. Una pompa artificiale dava il ritmo ai polmoni collassati. – Parametri vitali? – chiese una voce profonda e decisa. – È in coma, signore. Il tecnico dai capelli fluo, all’ultima moda, distolse lo sguardo dall’inquisitore e si focalizzò sull’uomo disteso e morente; troppo brillante, troppo pericoloso. – Ancora nessun nome? L’inquisitore sfilò una Bluesun dal pacchetto e se la mise in bocca. Le mascelle potenti la masticavano con gesti continui e misurati. – Purtroppo no, signore. Il segnale è infettato dal virus. Sappiamo solo che induce ogni cavia a trasgredire gli ordini e a suicidarsi. Questa volta ci è andato giù pesante. Nessuno vorrebbe vedere la propria figlia… – E quella donna? – lo interruppe l’inquisitore. Il tecnico scrollò il capo. Ascoltò con bramosia il ruminare cadenzato. La salivazione aumentò. Avrebbe voluto un po’ di quella droga sintetica, ma non gli era permesso. – Beh, trovate il modo di risvegliarlo, Cristo! – Non credo sia più possibile… signore. – Ha famiglia? – chiese lui, interrompendo per un secondo di tagliuzzare con i denti aguzzi la pastiglia gelatinosa. – Solo la figlia… cella 11b. – Mmh… avvisatela che il suo caro paparino ha dato la vita per la patria. Poi preparatela. – Signore… le procedure di estrazione… Il tecnico frugò nella tasca della divisa e ne estrasse una Memolap. Davanti a loro si proiettò una scheda elettronica; regolamento aziendale. – Non possiamo permetterci di aspettare, – disse l’inquisitore, gesticolando con il braccio teso contro quelle scritte vibranti. – E poi nessuno rimpiangerà la morte di un dinamitardo. A parte sua figlia, ancora per poco. – La resistenza reagirà duramente alla loro scomparsa, e… – L’avrebbe fatto comunque, – lo interruppe, alzando il tono della voce. – E proprio per questo dobbiamo accelerare i tempi. Scoprite come ha fatto quella donna ad infettare il nostro programma di simulazione. E se ne andò, rabbioso come un cane.
Edited by nomoss - 5/8/2016, 00:45
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