Forum per scrittori: La vetrina dello scrittore esordiente

Modello 197, I

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view post Posted on 12/7/2016, 12:45     +1   -1
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ANNO: 2009
GENERE: thriller

I

Michael Miller era turbato. Era da qualche giorno che non riusciva più a dormire serenamente. Durante la notte si svegliava: o perché aveva caldo, e quindi sudava, o perché faceva degli strani e inquietanti sogni, oppure perché sentiva delle voci nel corridoio. Dormire al Campus non era stata una sua scelta: gli era stato imposto.
Quando studiava al liceo non aveva mai pensato che un giorno si sarebbe iscritto alla Facoltà di Ingegneria della prestigiosa Università della California. Non aveva interesse per nessuna materia, a dire il vero, ma per non disonorare la sua famiglia, era stato costretto ad accettare la scelta che i suoi avevano fatto al suo posto. Suo fratello si era laureato cinque anni prima, col massimo dei voti; sua sorella idem; e suo padre, nei lontani anni ’60, aveva persino ricevuto il Bacio Accademico ed era stato professore di quella stessa università, salvo poi diventare rettore a New York. Così lui, pecora nera della famiglia, non aveva avuto altra scelta.
Insomma non riusciva più a stare tranquillo. Ciò influiva sul suo rendimento. Durante le lezioni era assonnato e poi, quando doveva studiare, si sentiva spossato e aveva dei frequenti mal di testa. A ciò si aggiungeva il suo antico vizio di partecipare alle feste studentesche. Tutto per colpa di Christine Walcott, una bionda per la quale aveva perso la testa da ormai più di un anno, ma che lo considerava solo un amico, evidentemente perché lui non rispecchiava i suoi canoni di virilità.
Si alzò dunque svogliatamente dal letto. Pensò che sarebbe stato necessario prendere almeno cinque caffè, prima di sentirsi in forma. Si lavò, si vestì e uscì dalla sua camera. Il suo compagno di stanza, Adam O’Neil, come al solito non si era fermato. Di solito dormiva nel letto di una delle sue tante avventure serali. Era in grado di cambiare una ragazza almeno ogni due giorni. Michael non lo invidiava affatto. Pensava anzi che la sua vita mondana lo avrebbe distratto dallo studio. Era pur vero che anche lui partecipava a tante feste, ma alla fine, quando si trattava di dare gli esami, era il primo a voler mettersi a studiare come si deve.
Ancora barcollante per il sonno, Michael attraversò il corridoio del dormitorio maschile.
Si sentì chiamare. Era Winston Garfield, un tipo alto, moro, coi capelli tutti pieni di gel e un sorriso giocoso sempre stampato sulle labbra. Questo era dovuto al suo successo con le donne e al suo altissimo rendimento nello studio. «Sei sveglio?»
Michael sorrise, pensando che la sua faccia parlasse chiaro. Poi Winston aggiunse: «Sabato diamo una festa: ci saranno belle donne, birra e tanto divertimento! Non dirmi che mancherai, eh! – vecchio volpone!»
Michael si sforzò di rispondere:
«Sabato… oddio... ma lunedì ho l’esame di Informatica! Non voglio far tardi, altrimenti domenica non potrò mettermi a studiare…»
«Oh, su! Ma come sei secchione! Lo potrai dare all’appello successivo, questo dannato esame! E poi, che t’importa del voto? L’importante è andare avanti e divertirsi!»
Già – pensò Michael – così con questa filosofia papà e mamma mi laureeranno subito perdente a vita.
Per non deludere Winston rispose:
«Vedrò… vedrò di non mancare. Magari studierò più tardi, se mi riprenderò dal sonno.»
«Così mi piaci, vecchio mio!», e Winston gli diede un altro pugno sulla spalla. Fece per andarsene, quand’ecco che si girò di colpo e gli disse: «Ah, Michael! Dimenticavo… è arrivata questa per te…» e gli lanciò una busta gialla. Michael riuscì ad afferrarla al volo ma non fece in tempo a chiedergli né cosa fosse né chi gliel’avesse mandata: Winston era già sparito oltre il corridoio. Così Michael andò a lezione. Con sé aveva i libri e la busta, nascosta fra le pagine di uno di essi.

L’aula era ancora semi-deserta. In effetti, alle nove del mattino non si poteva di certo pretendere che dopo quelle serate all’insegna del divertimento gli studenti fossero puntuali. Ma poco alla volta i posti cominciavano a riempirsi.
Michael aveva solo una gran voglia di dormire. Appoggiò la testa sulle braccia, chinato sul banco; chiuse gli occhi, ma il brusio gli entrava nelle orecchie. La testa gli scoppiava.
«Ciao, Michael.»
Quella voce. Quella voce era inconfondibile. Pensò di essersi addormentato. Ma poi, quando di scatto alzò la testa, si accorse che invece era ancora desto, e che la voce era quella di Christine Walcott.
Riuscì a rispondere con un altro “Ciao”, non troppo convinto.
«Hai sonno?» gli chiese Christine. Michael annuì, ma dentro di sé pensò: “Non si vede che vorrei essere ancora sotto le coperte e che ci trascorrerei il resto della giornata?”
Christine era davvero stupenda: aveva i capelli lunghi e lisci che le cadevano sulle spalle; un vestito blu con delle palline bianche (semplice, seppur forse antiquato, per quei tempi) e stringeva al petto un paio di libri dalla copertina nera. Le sue scarpette erano bianche e i laccetti erano stati stretti il più possibile, perché capitava non di rado che si slacciassero e che Christine rischiasse di capitombolare per terra e di farsi male. Il rossetto era piuttosto vistoso, tanto che Michael non mancò di notarlo.
«Allora…» riprese Christine, dopo qualche attimo di imbarazzo, «ci sarai sabato sera alla festa studentesca? Molti mi hanno detto che sarà uno spasso e che sarebbe un dispiacere mancare.»
«Ecco… lunedì ho l’esame di Informatica. Non so se riuscirò a venire. Intendo mettermi a studiare domenica, sempre che non abbia sonno.»
«Sì, sì, è vero», disse Christine ridendo. «Altrimenti sarebbe meglio non studiare proprio. Dici che il professore verrà, oggi? Di solito non tarda mai così tanto.»
Michael guardò il suo orologio da polso: in effetti, erano già le nove e venti. La lezione incominciava alle nove e solitamente il professore arrivava addirittura con qualche minuto di anticipo – così avrebbe potuto leggere il giornale in pace prima di incominciare la lezione.
«Già», rispose Michael. «Non saprei… forse ha avuto un imprevisto e sta facendo tardi…»
Ma non ebbe nemmeno il tempo di finire di pronunciare queste parole, che il professore era già lì.
Il professor White aveva sicuramente più di sessant’anni. Prossimo al pensionamento, era temuto dagli studenti per la sua eccessiva pignoleria: bocciava a raffica. Addirittura, una volta, a un esame, aveva bocciato alcuni laureandi, che non erano riusciti a laurearsi per colpa sua, perché il suo esame era l’ultimo. Inconfondibile era la cicatrice che aveva sulla fronte. Alcuni studenti dicevano che fosse un discendente della creatura di Frankenstein. Nonostante l’età, poi, era un fumatore incallito. Michael, una volta, era andato a ricevimento e non l’aveva trovato. Dopo almeno mezz’ora, White era arrivato, con la sigaretta spenta tra le labbra. Aveva raggiunto il suo dipartimento e, nonostante sapesse che c’era Michael, si era acceso la sigaretta con tutta tranquillità. A Michael dava molto fastidio il fumo, soprattutto il fumo passivo. Per questo si era sentito un po’ in imbarazzo quando aveva dovuto parlare con il professore e trattenere al contempo il fiato per non inquinarsi i polmoni.
«Bene, miei giovani allievi», disse il professore. «Diamo inizio alle danze. Allora, la scorsa volta abbiamo parlato di…» e iniziò a spiegare alcune semplici istruzioni nel linguaggio Pascal.
Prima di sedersi qualche fila più avanti, Christine ebbe modo di dire a Michael: «Ci vediamo sabato! Non mancare!», e Michael pensò: “Sì, ma tanto non mi degnerà di un minimo di attenzione. Sarò solo un amico…”
Durante la lezione, mentre il professor White spiegava, Michael lanciava qualche occhiatina a Christine e fantasticava su di lei. Non gli era mai capitato di fare sogni erotici su Christine ma a volte aveva avuto delle visioni e si era convinto che quelle epifanie rappresentassero Christine. Non c’era nessun’altra ragazza, nella sua vita. Aveva pensato più volte di arrendersi e di dimenticarla: restare amici sarebbe stata la soluzione migliore. Ma allo stesso tempo si diceva che non aveva niente da invidiare a tipi come Adam o Winston. Potevano anche rappresentare il modello di virilità per tutte le ragazze dell’università, ma era anche vero che Michael non si riteneva uno stupido e che credeva nelle proprie capacità. In fondo, nonostante Ingegneria non facesse per lui, i suoi voti non erano poi così bassi.
Per fortuna, ogni tanto, il professor White intercalava qualche battuta o qualche digressione. Una volta, ad esempio, aveva avvertito gli studenti che si sarebbe arrabbiato molto se, qualora fossero stati bocciati all’esame, gli avessero chiesto (l’esame era scritto): «Come avrei dovuto fare?», oppure se gli avessero detto: «Dobbiamo venire apposta per una sola lezione». Così, di quelle citazioni, Michael aveva modo di ridere con i suoi compagni di corso, Christine compresa: «E allora ci sveglieremo apposta per lui», oppure: «Dovrai rinunciare al divertimento apposta per studiare» e simili. Superlativa era stata la gaffe del professor White allorché aveva detto “Bill Gate”, anziché “Bill Gates”.
Terminata la lezione di Informatica, Michael tornò nella sua stanza. La lezione successiva sarebbe stata a mezzogiorno: aveva abbastanza tempo per riposare un po’ e per prendersi un caffè.
In camera, trovò Adam, nudo, appena uscito dalla doccia.
«Era ora!» disse Adam. «Temevo che ti fossi addormentato durante la lezione.»
«Ti sembra giusto che io debba svegliarmi presto per seguire mentre tu pensi solo a far baldoria? Voglio proprio vedere se saresti in grado di connettere alle nove del mattino dopo esserti ritirato alle due di notte!»
«Questa è la vita universitaria, vecchio mio…»
Michael lo considerava un tipo abbastanza superficiale. Non era inaffidabile, e nemmeno cattivo, ma certe questioni non riusciva a comprenderle. Se la spassava infischiandosene di gravare sui genitori – famiglia benestante, la sua. Era destinato ad andare almeno tre anni fuori corso, di quel passo. Ma in fondo, era un amico, e Michael sapeva di potergli confidare almeno i suoi patemi d’amore.
«L’hai vista, allora?» chiese Adam.
«Chi? Christine?»
«Secondo me dovresti venire alla festa di sabato. Christine ci sarà, non è vero?»
«Sì, è stata lei stessa a invitarmi, in un certo senso…»
«E allora? Che aspetti? Christine è molto vulnerabile, in questo momento. Da poco ha lasciato Blake Moore. Stavano insieme da quasi quattro anni e di punto in bianco lei si è stancata di lui. Dovresti approfittarne, eh! Ma… che cosa hai lì?» e indicò la busta gialla, che ancora doveva essere aperta.
«Oh, niente», rispose, distratto. «Forse sono solo i miei che mi dicono di sbrigarmi a laurearmi sennò non pagheranno più le tasse.»
«Rompiscatole i tuoi, eh? Va bene, amico, io adesso mi vesto e vado fuori per incontrare una mia amica. Anzi, a dire il vero sono già abbastanza in ritardo. Tu non studiare troppo, mi raccomando!»
«Certo, certo…»
Attese che Adam si fosse vestito e se ne fosse andato. Aprì la porta della camera per assicurarsi che nessuno lo stesse spianto (era una verifica inutile, ma le precauzioni non erano mai troppe, in un dormitorio), poi rientrò, la richiuse a chiave e si sedette sul letto. Allora il suo sguardo si posò dritto sulla busta gialla. La prese tra le mani e iniziò a ipotizzare chi mai potesse avergliela mandata.
“Mamma e papà”, pensò. “Uhm… no, no… perché mai non avrebbero dovuto mettere l’indirizzo? Tra l’altro li ho sentiti l’altro giorno e non hanno accennato per niente a questa busta. Eppure il mio nome c’è. Il destinatario sono io, è certo.”

Sul retro della busta c’era il suo nome: Michael Miller, Facoltà di Ingegneria, Università della California – Los Angeles.
“Sono proprio io. Non penso ci siano altri Michael Miller, in questa università. Ma perché mai non mi è stata consegnata personalmente dall’addetto alla posta? Perché ce l’aveva Winston?”
Ci avrebbe pensato in un secondo momento. Intanto, moriva dalla voglia di conoscere il contenuto di quella busta. Così l’aprì. Dentro trovò un plico di fogli. Dovevano essere almeno un centinaio. Sembrava un dossier.

Nome: Shane McCaulin
Età: 22 anni
Segni particolari: occhi e capelli neri
Mutamenti: biondo, occhi azzurri.
Scomparso il: (e qui c’era una data)

Seguiva un altro nome.

Nome: Miranda Baker
Età: 19 anni
Segni particolari: astemia.
Mutamenti: trovata ubriaca i giorni (altre date).
Scomparsa il: (data della scomparsa di Miranda).

In tutto quel plico di fogli, c’erano almeno duecento nomi di studenti misteriosamente scomparsi. Era tutto molto dettagliato, con tanto di fototessera per ognuno di essi. Michael non li conosceva. Non ricordava di averli mai visti. O forse sì, magari li aveva visti di sfuggita ma non ricordava i loro volti. Ad ogni modo, tutto ciò gli sembrava molto strano. Prima di tutto, gli sembrava insolito che davvero quegli studenti fossero scomparsi. Scomparire vuol dire morire, al massimo. Ma in quel caso si intendeva forse che quei ragazzi non erano più stati visti né dai compagni né dai parenti per un certo numero di giorni e che il loro cadavere non era stato ritrovato.
Il secondo inquietante quesito riguardava lui stesso: perché un dossier su quegli studenti scomparsi era finito proprio a lui? Che cosa ne avrebbe dovuto fare: consegnarlo alla polizia oppure mettersi alla ricerca di quegli studenti?
“Forse è solo uno scherzo”, pensò. “Uno scherzo di cattivo gusto. Qualcuno avrà avuto voglia di spaventarmi, così ha scritto questi fogli e me li ha mandati tramite Winston.”
Rimaneva la domanda forse più importante: perché era stato Winston a consegnargli quella busta? Da chi l’aveva avuta?
Cercando di placare la propria fantasia, Michael prese il plico di fogli e lo ripose nella busta in maniera ordinata. La richiuse – eppure non era più possibile sigillarla – e la buttò nel cestino, convincendo se stesso che non era niente di importante e che di sicuro si trattava solo di uno scherzo.
Prese dei libri e cercò di mettersi a studiare. Ma ogni due minuti sbadigliava. Allora, arresosi al sonno, si distese sul letto e nel giro di un paio di minuti si addormentò profondamente.

[successivo]


Edited by Corrado Allegro - 15/3/2022, 15:38
 
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